Dopo 19 anni di indagini, condanna per il marocchino Moustapha Bouzendar per l’omicidio e violenza su Franca Ganassi.
Il caso di Franca Ganassi, uccisa brutalmente nel 2005 da un marocchino, ha trovato una svolta decisiva dopo ben 15 anni di indagini. La donna, 60enne residente a Scandiano, fu trovata morta nel parco della Resistenza, vittima di aggressione fisica e violenza sessuale.
Grazie alla determinazione degli inquirenti e alla collaborazione internazionale, nel 2020 è stato arrestato Moustapha Bouzendar, il principale sospettato, in Marocco. La recente condanna a 25 anni di reclusione, emessa dal tribunale di Casablanca, segna un punto fermo in un lungo percorso di giustizia per la famiglia Ganassi.
La svolta grazie al DNA: il marocchino Bouzendar
Le indagini si erano inizialmente arenate per mancanza di prove conclusive. Tuttavia, la perseveranza dei carabinieri del RIS di Parma ha permesso di ottenere un punto di svolta nel 2020. Campioni biologici raccolti sul luogo del delitto, tra cui tracce di liquido seminale, sono stati confrontati con oltre 200 altri campioni prima di trovare una corrispondenza chiara con Bouzendar. La prova decisiva è arrivata da una tazzina di caffè e una sigaretta analizzate mentre l’uomo era in custodia in Marocco.
Bouzendar, durante l’interrogatorio, ha fornito versioni contrastanti, finendo per ammettere la propria colpevolezza, pur coinvolgendo un presunto complice, un “clochard italiano” la cui identità rimane sconosciuta. Questa ammissione, seppur parziale e confusa, ha dato impulso alla condanna per i reati di omicidio, violenza sessuale e rapina.
Reazioni della famiglia e il valore della condanna
La famiglia della vittima ha accolto la sentenza con un mix di sollievo e dolore. La sorella maggiore, visibilmente provata, ha dichiarato: “Ho 83 anni, le dico la verità col cuore: l’importante è che quell’uomo sia stato preso e che resti dentro”. Sul verdetto di 25 anni ha commentato: “Va bene così. Ora la giustizia farà il suo corso”. come riportato da ilrestodelcarlino.it
La condanna, pur tardiva, rappresenta un segnale forte per i familiari e per tutte le vittime di violenza. Il caso evidenzia l’importanza della cooperazione internazionale e delle tecnologie scientifiche, come l’analisi del DNA, nel risolvere crimini complessi.